RECENSIONI - 06/04/2015 | Recensioni |
Vizio di forma
C’è un movimento di macchina frequente in Vizio di forma (Inherent Vice),
l’ultimo, spiritoso film di Paul Thomas Anderson: una lentissima e ipnotica
carrellata in avanti, che si concentra sempre più su un soggetto escludendo
progressivamente tutto il resto. Tale è lo sguardo di “Doc” Sportello,
detective sui generis e hippie continuamente sotto gli effetti della droga
(leggera): il nostro protagonista tende infatti a essere affascinato dai
dettagli, ma non riesce ad avere una visione d’insieme. Allo stesso modo la
trama è una serie di indizi disarticolati tra loro, e le immagini del film
volontariamente non ci aiutano a capire meglio. Ad esempio la macchina da presa
esclude spesso dal proprio sguardo delle figure secondarie, trasformandole in
fugaci apparizioni, quasi subliminali (ad esempio i soldati che avanzano nel
deserto, poco prima che Doc entri dalle Pussy Eaters). Tutto ciò rende bene la
memoria del protagonista, piena di lacune. Parallelamente, ad eccezione di un’eroticissima
scena di sesso girata quasi in piano sequenza, in generale la regia relega le
situazioni scabrose al fuori campo per accentuare l’effetto comico dei suoni
puri: lo spettacolino lesbo, oppure la porta dell’appartamento di Doc che geme
- frantumandosi - sotto i piedi di “Bigfoot”.
A questo proposito il suono è usato spesso in un modo che ricorda il
linguaggio del cinema demenziale (così come il corpo cartoonesco del
protagonista, continuamente maltrattato eppure sempre senza lividi, oppure come
alcuni personaggi secondari inquadrati senza testa, in stile Tom & Jerry). Anche la musica
riserva delle sorprese. Spesso lunghi brani accompagnano delle sequenze intere,
senza punteggiare le azioni ma donando un’atmosfera generale. Questa ulteriore
mancanza di una forte sincronia tra le immagini e la musica contribuisce
ulteriormente a disorientare lo spettatore. Inoltre colpisce la presenza della
cantante-arpista-compositrice Joanna Newsom (celebre nel panorama musicale “alternativo”,
ossia nel milieu vagamente indie al
quale anche il regista aderisce) nei panni del personaggio di Sortilège, acuta
voce della coscienza (incarnata) di Doc e voce narrante che mantiene intatti
gli incomprensibili voli pindarici di Thomas Pynchon, l’inarrivabile scrittore
americano il cui libro omonimo è il punto di partenza per il film. Paul Thomas Anderson
sembra voler proseguire qui (in perfetto ordine cronologico) una personalissima
riflessione sulla Storia degli Stati Uniti, iniziata con i primi del Novecento
di There Will Be Blood, continuata
con l’oscuro e piatto (secondo) dopoguerra di The Master e arrivata ora al passaggio dagli anni Sessanta ai
Settanta (un altro momento cruciale per l’America, durante il quale al
desiderio di libertà si sostituisce la paranoia). Rispetto al film precedente
del regista (anch’esso incentrato sulla bravura titanica di Joaquin Phoenix), Inherent Vice è un film coinvolgente e
ipnotico. Insomma, imperdibile.
Articoli correlati
|